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Questa mattina, 27 novembre 2012, è stata resa ufficiale la chiusura degli impianti dell'Ilva di Taranto. La decisione della Magistratura è definitiva ed impone il sequestro dei prodotti finiti e dei semilavorati destinati ad altri stabilimenti del gruppo Riva, sparsi  in tutta Italia, la cui commercializzazione è stata vietata.

Blocco definitivo dell'attività produttiva per l'Ilva di TarantoLa decisione della Magistratura è stata presa in seguito alle prescrizioni, risalenti al luglio 2012, in cui si vietava l'uso degli impianti del settore siderurgico ai fini produttivi, della più grande acciaieria d'Europa. Tale divieto non venne rispettato e l'Ilva cotinuò a produrre e ad inquinare.

La chiusura della fabbrica ordinata ieri si traduce nella perdita di circa 12,000 posti di lavoro solo all'Ilva di Taranto, senza contare gli operai che nel resto di Italia lavorano nei gruppi Riva e utilizzano i prodotti provenienti dall'Ilva. Si presume che in totale saranno circa 20,000 i lavoratori licenziati o  messi in cassa integrazione

Per questa ragione questa mattina, è scattata la protesta degli operai che, vedendosi vietato l'accesso alla fabbrica hanno dato vita ad un sit-in permanente davanti all'Ilva, con l'appoggio dei sindacati, in particolare dalla Fiom.




Dopo 7 nuovi arresti e 2 avvisi di garanzia, tra cui quello di Emilio Riva, propriretario dell'Ilva e di suo figlio Fabio Riva, amministratore delegato dell'azienda, ad oggi irreberibile, si è giunti ad un punto di non ritorno.

L'indagine portata avanti dalla Guardia di Finanza detta "ambiente venduto" ha inoltre ipotizzato un giro di mazzette che aveva lo scopo di corrompere i periti della procura che avrebbero dovuto verificare la sostenibilità della produzione Ilva. Attualmente si trova ai domiciliari l'ex assessore all'ambiente della provincia di Taranto, Michele Conserva, che si è recentemente dimesso, con l'accusa di disatro ambientale, associazione a delinquere e concussione.

Chiusura definitiva per l'Ilva di TarantoQuesto quadro generale mostra che a pagare la gestione criminale di un'azienda sono ancora una volta solo i lavoratori, che non sono altro che l'ultimo anello di una catena, a cui non è possibili imputare la colpa di una produzione nociva di cui loro stessi sono le vittime.

Inoltre è un'amara testimonianza di come spesso nel nostro paese le liberalizzazioni, cioè le politiche che favoriscono la vendita di aziende pubbliche a privati cittadini, cosa che accadde all'Ilva nel 1995, vengono sfruttate per ottenere facili guadagni e creare un giro di rapporti clientelari, anche grazie ai fondi statali, piuttosto che per favorire la crescita economica del paese.

Alla luce di tutto questo, gli operai che da questa mattina occupano le entrate dell'Ilva di Taranto, non si scagliano contro le decisioni della Magistratura né chiedono di continuare a lavorare ad ogni costo pur essendo consapevoli dei danni ambientali e sanitari che provoca la loro attività. Piuttosto pretendono un intervento del Governo Italiano volto a garantire loro il diritto al lavoro, e a liberarli  finalmente dalla morsa del ricatto in cui Taranto si trova a vivere da decenni, quello tra la vita e il lavoro.

 

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